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I FRUTTI DIMENTICATI DI CASOLA VALSENIO

23 Ottobre 2012 By Rossella Leave a Comment

A proposito di frutti antichi, frutti selvatici e quasi del tutto dimenticati, c’è un paesino in Italia, Casola Valsenio, in provincia di Ravenna, che festeggia, da ventidue anni una festa, quella dei frutti dimenticati, una festa che li ripropone all’attenzione di turisti, visitatori, studiosi e di chi non li ha finora conosciuti sotto l’aspetto alimentare, ma solo come elementi identificativi di una condizione ambientale ed umana tipica della collina faentina fino alla metà di questo secolo.

La comunità del paese è stata capace di legare quest’ inizativa a questo un appuntamento periodico: per ogni nuovo nato si piantano frutti dimenticati, le scuole visitano costantemente le aziende agricole, con “il giardino diffuso” e si piantano frutti dimenticati nelle aiuole pubbliche.

I prodotti delle piante da frutto, domestiche o spontanee, che un tempo crescevano vicino alle case coloniche, nei campi o nei boschi, erano destinati, quasi esclusivamente, al consumo domestico o al piccolo mercato locale così che erano un tutt’uno con la cultura, la mentalità e i modi di vita della popolazione contadina del passato, condividendone anche la repentina scomparsa.

Oggi mangiare marroni, noci, nocciole, sorbe, giuggiole, corniole, mele da rosa, pere volpine, azzeruole, melagrane, prugnoli e così via, rappresenta un piacere del palato ed un recupero del patrimonio culturale e materiale del passato, a cominciare dalle abitudini alimentari che portavano a consumare quei frutti, conservati nei solai, nelle lunghe e fredde

Frutti che aiutavano anche a combattere meglio il freddo dell’inverno grazie al loro potere calorico: il gheriglio della noce, ad esempio, costituisce un alimento quasi completo, con un altissimo numero di calorie.
Questi frutti rappresentavano gli strumenti della sopravvivenza anche dal punto di vista psicologico: mettere al riparo nei grandi solai noci, avellane, mandorle, castagne, melegrane, nespole, pere, mele e sorbe, in attesa della maturazione o per la conservazione dava sicurezza e permetteva di affrontare l’inverno con la consapevolezza che, in ogni caso, c’era qualcosa da mangiare, così com’era o insieme al pane.
Recuperando i frutti di un tempo non si ritrovano solo i sapori del passato, ma si recupera anche un mondo fisico e culturale che ci riavvicina alla natura, ad un modo di vivere e di alimentarci più semplice e più sano e che permette anche di riallacciare i legami con la cultura popolare contadina in tutte le sue espressioni, così da poter ricordare e capire il passato.Se ti è piaciuto l’articolo iscriviti al mio blog, oppure seguimi sulla pagina Facebook di Terra Madre

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Filed Under: Decrescita, Ecologia, Madre Terra, Sapienza antica, Società Tagged With: Agricoltura, Autoproduzione, Biodiversità, Cucinare, Frutta, Piante

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